Sono un Counselor e NON mi fermo qui

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Stop ai counselor: la loro attività è illegale e si colloca in palese sovrapposizione con quella dello psicologo.

È il messaggio che il Ministero della Salute ha inviato nella giornata di sabato 19 gennaio 2019 all’UNI – organo impegnato a delineare una normativa per il riconoscimento di questa “presunta” figura professionale – all’Ordine nazionale degli psicologi e quello del Lazio.
Nell’articolo del giornale che riporto il presidente dell’Ordine degli Psicologi appare contento di aver ottenuto questo grande risultato, dando già per approvata la normativa.
Poiché da due giorni circolano anche sui social notizie vere mischiate a considerazioni false sulla nota inviata dal Ministero della salute all’UNI, ho deciso di scrivere una precisazione tecnica.
Spero che il Presidente Ordine Psicologi Lazio Nicola Piccinini non ne abbia a male.

  1. Il tavolo UNI è fermo da questa estate, non è stato fermato ora dal Ministero;
  2. L’aver espresso parere negativo sul tavolo UNI da parte del ministero NON implica: “Stop ai counselor: la loro attività è illegale” come afferma AP (altra psicologia e tanti psicologi a seguito).
  3. Il Ministero nella lettera del 18/1/19 indirizzata all’UNI dice solo nelle ultime 2 righe: “Pertanto si chiede a codesto Ente (UNI) di voler sospendere le operazioni sul progetto di norma n. 1605227 sulla figura del counselor…”.
    E per ora non è arrivata risposta alcuna.
  4. Da nessuna parte vi è scritto che il counseling è riservato agli psicologi, che è illegale o altro.

Scelgo di dire la mia su una questione che si sta svolgendo su un piano politico riportandola sul piano che piace a me, quello della chiarezza.

Sarò sintetica ma la questione è molto ampia e l’articolo sarà un pò lungo perchè voglio approfittare di questa confusione mediatica per raccontare la storia del Counseling , la sua utilità, le mie riflessioni in merito alla lotta che l’ordine degli psicologi porta avanti da anni a danno dei counselor e la mia posizione.

La storia professionale del Counseling è piuttosto articolata e fortemente condizionata dagli eventi politici e socioculturali del contesto nel quale si è sviluppato: gli Stati Uniti.
Il counseling nasce nel Nord America, esattamente nel 1908, ad opera di tre pionieri che utilizzarono per la prima volta l’espressione “Counseling” cercando di spiegare l’attività di supporto che svolgevano a favore di persone con problemi sociali e nell’ambito lavorativo.
Nel decennio successivo (1910 – 1920) il Counseling venne utilizzato soprattutto durante la prima guerra mondiale, per il collocamento di un gran numero di militari.
Tra il 1920 e il 1930 il Counseling iniziò ad essere presente negli ambiti educativi, formativi e professionali e nel 1929 nacque a New York il primo centro di counseling matrimoniale e familiare che segnò l’inizio del counseling familiare.
Successivamente, e siamo tra il 1940 e il 1950, una serie di eventi scandirono definitivamente lo sviluppo del Counseling prima negli Stati Uniti e, successivamente, nel mondo. Forse il più importante, fu la pubblicazione del famoso libro Counseling and Psychotherapy (1942) di Carl Rogers.

Rogers (che amo tantissimo), esponente della Psicologia Umanistica, introdusse la terapia centrata sul cliente, dando una nuova definizione di  setting, della figura professionale del  counselor, del cliente (non più visto come paziente ma come persona), della qualità della relazione.

A partire da 1960 si consolidò il counseling dello sviluppo, fece la sua prima apparizione il counseling comportamentale e, a causa dell’aumento del tasso di divorzi, si diffuse in tutto il paese il counseling matrimoniale e familiare.
Nel 1990 il counseling è stato riconosciuto in buona parte del mondo – si stima che all’inizio del XXI° secolo in America ci fossero circa 100.000 counselor e, soprattutto nei paesi anglosassoni e anglofoni, il Counseling divenne una professione a sé stante, con programmi formativi universitari standardizzati e distinti da quelli di altre professioni.
Oggi il counseling è diffuso in quasi tutto il mondo. Nell’ultima conferenza dell’International Association for Counselling svoltasi a Roma a settembre 2018, erano presenti ben 25 paesi: Stati Uniti, Malta, Israele, Turchia, Giappone, Nuova Zelanda, Canada, Ghana, Cina, India, Irlanda, Uruguay, Olanda, Australia, Malaysia, Nigeria, Gran Bretagna, Argentina, Svizzera, Tanzania, Pakistan, Belgio, Spagna, Kenya, Italia.

Il counseling si occupa di relazioni, benessere, prevenzione, sviluppo e difficoltà e nel farlo interconnette molteplici discipline tra cui la pedagogia, la sociologia, la psicologia, le neuroscienze, la fisica, l’antropologia, l’etica, il diritto e tantissime altre che sarebbe noioso elencare.
Durante i colloqui di counseling
le persone parlano della propria vita, di ciò che ne condiziona il benessere, dei disagi che stanno vivendo a causa della quotidianità sempre più frenetica e faticosa.
E che cosa fa il counselor? La ascolta, ci sta insieme.
Io, come counselor, “sto” con la persona. Riflettiamo insieme su come superare gli ostacoli ordinari, su come sia possibile vedere le cose da prospettive diverse da quelle conosciute.
Lavoro sempre con le risorse della persona, valorizzandole, riscoprendole, dando fiducia a ciò che c’è e lasciando spazio a ciò che è possibile creare. Non creo soluzioni per lei, non risolvo al suo posto i suoi problemi ma la accompagno nel tragitto attraverso cui lei elabora la soluzione al suo problema.

Riguardo alle accuse di “abuso professione” da parte dei Counselor che sconfinano nella psicologia, senz’altro accade.
Sicuramente c’è del marcio tra i counselor così come c’è del marcio tra psicologi e psicoterapeuti, così come nel mondo c’è del marcio.
Non solo quello, per fortuna e per bellezza.
Personalmente ho perfettamente chiari quali siano i confini della mia professione.

Non psicologizzo nulla, non analizzo, non interpreto un fatto. Non tratto il cliente come un caso problematico ma lo vedo come una persona, ascolto il suo disagio, sottolineo la sua interezza fatta di risorse e difficoltà, luce e ombre.
Metto a servizio le mie competenze personali, quelle per cui non ho dato alcun esame, quelle con cui sono nata, che ho scoperto lavorando su di me costantemente e che sanno di empatia, di capacità di ascoltare, di esserci, di accoglienza, di centratura.
Metto a servizio le mie competenze professionali per leggere la realtà del cliente, del suo contesto e offrirgli tutti gli strumenti necessari per aiutarlo a superare la sua impasse esistenziale.
Tutte le volte che lo ritengo necessario mi avvalgo della collaborazione con altri professionisti con cui trovo molto importante essere in continuo contatto e confronto. E sono molto spesso proprio psicologi e psicoterapeuti.

All’estero le diverse professioni convivono ed il cliente sa chiaramente che se va da uno psicologo incontrerà un professionista che ha fatto un iter formativo per diventare psicologo, se va da un counselor incontra un professionista che ha fatto un corso di counseling che lo ha preparato ad essere Counselor e se va da un counselor che fa anche counseling psicologico allora incontra un professionista che ha due titoli uno in psicologia e uno in counseling.

Perché non scegliere la collaborazione anche in Italia?

Come mai l’Ordine degli Psicologi, nonostante il loro codice parli chiaro, ha permesso che per anni molti dei loro associati si arricchissero con corsi di counseling aperti a tutti ed ora che i Counselor sono scelti dal mercato, tratta questi professionisti come fossero dei delinquenti?
Quanto mi piacerebbe non dover avere a che fare con tutti i giochetti politici e gli equilibrismi tra lobby ed interessi opportunistici!

Come sarebbe se tutti noi orientassimo la nostra attenzione ai clienti e al loro benessere?

Che insieme alle sue abilità professionali ce ne siano di personali che lo rendano portato per un lavoro che a mio parere si dovrebbe basare sull’amore per il prossimo e sulla capacità di vedere la bellezza dell’essere umano oltre ogni suo limite.
Sono per la cooperazione e la collaborazione tra le diverse professioni perché ciò che mi preme più di tutto è il benessere della persona che si rivolge a me e mi dona la sua fiducia, uno tra i beni più preziosi che ci rende umani.
Amo il mio lavoro, amo prendermi cura della vulnerabilità dell’essere umano, della sua perfezione, della sua capacità di vivere la vita.

Sono un Counselor, mi chiamo Lucia Bianchini e non mi fermo.

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